The Prague Post - Dal libro su Stefania Albertani a 'Elisa' di Di Costanzo

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Dal libro su Stefania Albertani a 'Elisa' di Di Costanzo
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Ceretti e Natali: "Durante il lockdown ha maturato nuova verità"

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(di Chiara Venuto) Tre incontri vis-à-vis con due criminologi, poi il Covid e una realizzazione: "Io volevo ucciderla". È quello che è successo a Stefania Albertani, condannata a vent'anni per l'omicidio della sorella e aver tentato di uccidere i genitori, la cui storia vera - nel formato di intervista - è stata raccontata in un libro dei criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali per Raffaello Cortina Editore (2022, pp. 448). Il titolo, appunto, è "Io volevo ucciderla". Da questo volume Leonardo Di Costanzo ha preso spunto per il suo nuovo film, "Elisa", presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e già nelle sale. Il titolo è stato prodotto da Tempesta con Rai Cinema ed è distribuito da 01 Distribution. Nella pellicola, la protagonista (interpretata da una magistrale Barbara Ronchi) ha passato dieci anni in carcere per aver ucciso la sorella, apparentemente senza motivo, e dice di non ricordare nulla. Dopo il suo incontro con un criminologo (Roschdy Zem), inizia un percorso di comprensione di sé e arriva alla realizzazione. Passando all'Elisa 'reale', ovvero Albertani, si era già aperta una prima volta a 'Storie Maledette', nel 2014. "Noi abbiamo iniziato i colloqui prima della pandemia - spiega Lorenzo Natali - la nostra metodologia prevede interviste semi-strutturate, narrative, in cui chiediamo ad esempio di raccontare cosa si pensava e sentiva prima del fatto". Poi, dopo tre appuntamenti, è scattato il lockdown. "Era impossibile andare in carcere per proseguire - aggiunge - a un certo punto siamo riusciti a ritrovare Stefania online e da lì è iniziato un percorso particolare che noi non ci aspettavamo". Dopo lo stop lei "ha esordito con una verità che non coincide con quella processuale": l'aver voluto commettere l'omicidio. La "solitudine riflessiva", opposta al precedente dialogo e scaturita per via del Coronavirus, nel film viene riprodotta con un escamotage, ossia uno scontro con il criminologo; si tratta di una delle differenze tra realtà e finzione (un'altra è la figura del padre, radicalmente diversa). "Era una storia che Stefania non aveva mai potuto raccontarsi - chiarisce Ceretti -, perché il processo l'aveva in qualche modo impostata in una perizia costante, in cui diceva di essere dissociata e non ricordare nulla perché aveva un vizio parziale di mente per un problema al lobo parietale destro. Insomma, non era proprietaria della sua storia, e non era riuscita a metterla in parole". La sua realizzazione ha creato la predisposizione a un cambiamento, ma ha pure messo i due criminologi nella condizione di dover cambiare un po' il loro approccio. "Come ricercatori raccogliamo racconti e storie di vita per fare rielaborazioni teoriche - continua Natali - dopo questo cambiamento è come se lei avesse creato un tilt pure nel nostro modo di lavorare, ci ha fatto pensare a qualcosa di nuovo. Eticamente non potevamo fermarci, dovevamo fare qualcosa di più, aggiungere un carattere trasformativo e di accompagnamento che è anche al cuore della trasposizione cinematografica". Il senso di colpa di Stefania/Elisa, da un'emozione che "paralizza e non permette di andare né avanti né indietro", è mutato in "responsabilità, coscienza del disvalore del fatto attraverso il riconoscimento dell'essere proprietari di quel gesto", prosegue Ceretti. Albertani ha riletto sia la propria intervista per il libro che la sceneggiatura del film, e "in entrambi i casi non ha fatto correzioni", rivela Natali. "Ogni passaggio è stato condiviso perché è la sua storia di vita e credo che, pur essendoci grandi differenze nel film, il senso sia stato mantenuto con molta attenzione". Il percorso, ora, non è finito. "Questa è la dimostrazione 'scientifica' del fatto che una persona può prendere consapevolezza di sé stessa ed entrare nella dimensione della responsabilità. Ma quello che abbiamo fatto con lei è una sorta di 'aperitivo' rispetto a una giustizia riparativa - conclude Ceretti, che è uno dei padri della norma che l'ha introdotta in Italia - speriamo che lei possa farla con qualcuno, dato che non ha più nessuno se non un fratello sparito dopo l'omicidio. Bisognerà trovare una vittima specifica, il suo 'altro difficile' con cui comunicare, che potrebbe essere un genitore il cui figlio è stato ucciso".

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T.Musil--TPP